Da qua a là
Doveva, come minimo, trovarlo faticoso. Starsene per conto proprio non riesce bene a chiunque; per alcuni, me compreso, è insopportabile. Tuttavia lui mi dava l'impressione di riuscire a tollerarla abbastanza bene, la solitudine intendo. Certo, aveva gli occhi sognanti di chi ha lavorato con ago e filo per tutta la vita, ma tutto sommato pareva sentirsi a proprio agio da solo. Anche a me era capitato, un giorno, di stare solo; a essere più precisi era capitato che mi fossi perso. Tengo a specificarlo perché sono senza dubbio due condizioni differenti: perdersi come mi ero perso io non è una cosa che premediti e, solitamente, quando ritrovi qualcuno, ritrovi te stesso; stare solo, invece, é una scelta, ponderata o meno che sia. Mamma ci raccomanda sempre di non perderci, prima di tutto perché stare lontani dalla propria famiglia, in linea di massima, non é affatto divertente, poi perché noi piccoli non sappiamo ancora badare a noi stessi: si, è vero, mamma ci sta insegnando a ricercare il cibo e a riconoscere quello commestibile, e sembra così semplice fatto da lei, ma vi assicuro che farlo da sé non è proprio un gioco da ragazzi, soprattutto se, nel frattempo, devi anche stare in guardia dai lucci, altra attività per niente divertente.
Alla luce di tutto ciò capirete che per me decidere di stare solo sia impensabile. Per evitare di perderci mamma obbliga me e i miei fratelli a stare in fila indiana. A dire il vero il concetto di fila indiana non mi è mai stato chiarissimo. Quando lo dice capisco di dovermi allineare a mio fratello e a tutti gli altri: cosa sia una fila l'ho appurato; ma perché indiana? Non farà forse riferimento alla raffinata strategia di guerra impiegata dai nativi americani che consisteva nel confondere il nemico marciando tutti uno dietro l'altro per nascondere il proprio numero effettivo? Chi lo sa. In ogni caso mamma sa il fatto suo e non parla mai a vanvera, tanto che quando mi persi mi bastò ricordare i suoi consigli per consentirle di ritrovarmi. -Resta fermo dove sei, così potrai preservare le energie e rimanere al caldo- ci ripete sempre, -al resto penso io-. Così feci, rimasi fermo e lei, come per magia, mi ritrovò, e smisi di sentirmi perso. Quel ragazzo -era limpido come l'acqua- non aveva smarrito nessuno. Era semplicemente da solo e il suo continuo girovagare mi faceva pensare che la sua mamma non lo stesse cercando. Che fosse il suo modo di preservare le energie e rimanere al caldo? Non potevo stabilirlo con certezza.
Ciò che potevo constatare era che mi aveva visto -a patto che almeno i nostri occhi funzionassero allo stesso modo- e che ogni volta che posava lo sguardo su di me portava al viso un piccolo marchingegno, con tutta probabilità una moderna macchina fotografica mirrorless di cui, in pochi istanti, avevo determinato: modello (OMSYSTEM OM5), e, di conseguenza, dimensione del sensore (17,3mm x 13mm) e obbiettivo utilizzato (12-45mm). Tuttavia non riuscivo a stabilire una quantità esorbitante di altri settaggi e, dal momento che questo mi seccava parecchio, decisi di distogliere lo sguardo. Fu allora che mi resi conto di essere solo, o meglio, di essermi perso, di nuovo. Preso dal panico raggelai, le piume si irrigidirono e le ali si contrassero, come pelle raggrinzita dall'acqua. Solo gli occhi si muovevano ancora, spasmodici. Lo sguardo cadeva involontariamente sui canneti, sul monte Baldo, sul piccolo borgo di Malcesine. Provai a radunare le forze -sapevo che mi sarebbe costato parecchia fatica e che mamma ne sarebbe stata contrariata- per chiedere aiuto al ragazzo con la macchina fotografica. "Qua qua" esclamai. "Qua qua", di nuovo. L'occhio, come venendomi in soccorso, cadde sul lungolago, proprio dove il ragazzo con la macchina fotografica giocava con ghiere e tasti fino a poco prima.
Ma di lui, come immaginavo, non c'era più traccia.
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