Efercal
Procedevo lentamente, ponderando con attenzione ogni mio passo, sia per scongiurare eventuali cedimenti sotto ai piedi, sia per attutire il rumore delle foglie secche e dei vetri cosparsi a terra. Che non dovessi attirare l'attenzione delle case vicine era fuori discussione: sarebbe stato un bel problema dover giustificare la mia presenza in quel luogo. Cosa avrei potuto dire? In fondo, pensavo, perché mi trovassi lì non era chiaro nemmeno a me. Tuttavia, se come un personaggio di Murakami avessi avuto l'eccezionale facoltà di regolare il suono degli oggetti a mio piacimento, probabilmente non avrei attenuato quel tagliente scricchiolio; tale rumore restituiva all'Efercal una parvenza di vitalità che mi aiutava ad allentare la tensione sciogliendo i nervi. Se il rumore sotto i miei piedi sembrava intensificarsi passo dopo passo, non potevo dire lo stesso dei colori. Come in preda ad un abbaglio prolungato, i miei occhi faticavano a percepire le tonalità più marcate: le foglie ingiallivano, l'azzurro del cielo andava ingrigendosi, il cemento delle pareti assorbiva i graffiti. Stropicciai gli occhi credendo di recuperare le mie facoltà, inutilmente. Allora capii. Non avevo nulla a che fare con ciò che stava accadendo. Pareva piuttosto che quel luogo abituato al silenzio, come ferito dalla mia presenza e dal rumore che questa comportava, perdesse progressivamente i suoi colori, già indeboliti da anni di razzie. 
Come se la malia di quel luogo avesse fatto breccia dentro di me, iniziai a sentirmene parte. Solo allora portai all'occhio la mia Olympus, sperando nei miei scatti, di restituire una parte delle sensazioni che stavo provando. Similmente ad un miope che socchiude gli occhi per vedere meglio, io, costretto dall'inquadratura del mirino, cominciai a mettere veramente a fuoco quegli ambienti, che mi mostrarono tutta la loro decadenza. Che quell'autentico relitto industriale fosse stato per quasi cinquant'anni un calzificio modello era difficile immaginarlo. Eppure gli omonimi collant erano un prodotto di eccellenza del settore tessile del bresciano, vera e propria merce di pregio che contribuì, in buona parte, alle fortune dell'Efercal. Tuttavia le precarietà economiche di un settore troppo spesso esposto agli scossoni della crisi non risparmiarono nemmeno l'azienda calcinatese, che chiuse i battenti nel 2009. Da allora è vittima dell'inesorabilità del tempo e dei frequenti atti vandalici, tra i più gravi un incendio -il terzo di una serie- consumatosi nel gennaio del 2023, le cui nubi nere avvolsero il centro storico di Calcinato. Inutili si sono rivelati, nel corso degli anni, i piani del comune nel tentativo di trasformare il sito in un parco pubblico, o ancora in un centro residenziale.
Nonostante il degrado, i detriti e la scarsa presenza di luce, potei constatare che gli ambienti dell'Efercal erano ancora completamente -o quasi- riconoscibili: quattro grandi locali di produzione in cui, con tutta probabilità, avvenivano la filatura, la tessitura, il finissaggio ed il confezionamento, uno o due magazzini di stoccaggio, svariati uffici direzionali al piano superiore, abilmente tappezzati di moquette ed una modesta cucina, tra le stanze più a soqquadro dell'intera fabbrica. Gli ambienti al piano terra parevano talmente spaziosi e stabili che, se solo mi fossi cimentato in un'operazione di pulizia e riordino, sarebbero sembrati pronti ad accogliere nuovamente i macchinari e gli operatori necessari a riprendere l'attività lavorativa. Il primo piano era tutta un'altra storia: spazi angusti, cumuli di detriti, pareti cedevoli, solai in cemento armato il cui ferro era completamente stato corroso dalla ruggine, controsoffitti dilaniati e balconi privi di ringhiere. Esplorai in lungo e in largo queste stanze, evitando sia di calpestare zone della pavimentazione che ritenevo incerte, sia aree dei solai -o intere stanze- che sembravano sul punto di collassare. Quando ritenni di aver raccolto materiale fotografico a sufficienza uscii all'aperto, mi diressi verso l'uscita percorrendo prima una lingua d'asfalto, poi facendomi spazio tra le sterpaglie. Ora mi trovavo al di qua della transennatura. L'Efercal era ripiombato nel silenzio, di nuovo e per chissà quanto tempo. Tutto era fermo, sordo, spettrale: solo il vento, muovendo le foglie, mi sussurrava che quel luogo, malgrado tutto, era ancora vivo. 
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