新年快乐
Solamente a quel punto mi decisi ad abbandonare Viale Montello ed entrare in Via Paolo Sarpi. Nonostante il sole splendesse senza interruzioni dall'alba il freddo era tutt'altro che sopportabile, ma quel serpeggiare inaspettato di colori bastò a generare un lampo di calore che dagli occhi scese nella pancia, scaldandomi l'umore. Fu solamente per una manciata di secondi: il freddo tornò ad invadermi a partire dalle dita, d'altronde -pensavo guardandomi le mani- gli avevo offerto una molteplice via d'accesso scegliendo, quella stessa mattina, di indossare i miei soliti guanti senza dita. Ci avevo provato più volte, ad usare la macchina fotografica coi guanti classici, intendo, ma mi era impossibile: avevo la sensazione che fosse lei a premere i suoi tasti contro le mie dita e non il contrario. Per nessun motivo al mondo mi sarei privato della naturalezza con cui avrei voluto affrontare quella giornata. Tuttavia, oltre a quella scelta tecnica, non avevo saputo prepararmi in nessun modo e per questo nutrivo una certa agitazione.
Fotocamera alla mano iniziai a scattare qualche fotografia, inizialmente più per far arrivare un po' di sangue alle dita ed evitare che queste si addormentassero completamente. Nel mirino credetti di vederlo almeno due o tre volte -quanto e come fosse cambiato in questi anni non avrei saputo immaginarmelo-, come se non bastasse doveva essersi vestito allo stesso modo di tutti i ragazzi che stavano sfilando in quella via e che, per la cronaca, erano tutti asiatici come lui. Se proprio devo essere onesto, non fui nemmeno io ad accorgermi di aver sbagliato più volte persona: furono loro che, vedendomi puntare l'obiettivo, non mi riconobbero, confermandomi di non essere la persona che stavo cercando. Fu solo a quel punto che sentii una mano appoggiarsi alla mia spalla destra -più che sentirla, imbottito com'ero, la vidi- e questo mi bastò a riconoscerlo: aveva da sempre le dita meno affusolate dei suoi connazionali, diciamo molto più simili alle mie, probabilmente ereditate da sua madre, amica d'infanzia della mia. -新年快乐 (xīn nián kuài lè)- mi disse. Buon anno amico mio. Subito ci abbracciammo.
-Sapessi che fatica ho fatto a trovarti!- disse e, come leggendomi nel pensiero, bofonchiò scherzosamente -Ma non per i tuoi stessi motivi-. Da sempre lo prendevo in giro per la somiglianza che hanno fra loro gli asiatici: mi bastavano un paio di occhi a mandorla e dei capelli neri dritti dritti per esclamare -Guarda Zhou! C'è Zhou!-, uno scherzo di cattivo gusto, ma ai tempi del liceo non davamo peso a certe cose. -Sai di latte!- aggiunse, -Questo odore non vi lascia mai!-. Risi, più volte mi era capitato di sapere di latte: molti amici di etnie diverse me lo avevano fatto presente e a me non dispiaceva affatto come cosa; chissà se con un paio di biscotti avrei ricordato loro una colazione completa. -Ti va di mangiare qualcosa?-. Annuii, effettivamente mi sembrava di avere un po' di appetito. Ci accodammo davanti a Ravioleria Sarpi, Zhou mi disse che era uno dei locali che più rispettava la tradizione del jiaozi cinese in tutta Chinatown. Arrivato il nostro turno ordinai 4 ravioli di manzo con curcuma, porro, zenzero e rapa bianca, Zhou optò per quelli di maiale. Erano entrambi veramente niente male: da bravi italiani ci scambiammo i piatti e potei assaggiare anche i suoi. Formidabili!
Passammo il resto della giornata insieme, riempiendo il tempo di chiacchere e risate e lo stomaco di baozi ed involtini primavera. Mi fece entrare in alcuni locali e piccoli supermercati tipici, consigliandomi alcune pietanze confezionate da portare a casa. Mi insegnò qualche nuova parola in cinese e mi fece conoscere alcuni suoi amici, i quali non disdegnarono di farsi fotografare. Incontrarlo dopo così tanto tempo mi diede la sensazione di prendere in mano una vecchia fotografia: mi era sembrato di essere catapultato indietro di dieci anni ma senza sentirmi minimamente a disagio, tra noi due sembrava ancora esserci l'intesa di un tempo e credo abbia avuto anche lui questa sensazione. Ci lasciammo solamente verso le sei di sera, poco dopo che i suoi genitori lo raggiunsero per passare la serata insieme: non erano invecchiati per niente, ma è risaputo che gli asiatici invecchino solo a partire dai sessant'anni. Salutandoli, esaurii tutte le parole italiane che conoscevo, mi cimentai allora col cinese e augurai loro buon anno. -新年快乐 (xīn nián kuài lè)- dissi e, sorpresi dalla pronuncia pressoché impeccabile, ricambiarono gli auguri con tre luminosi sorrisi.
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